Decidere con il “pilota automatico” sta portando il tuo piccolo ufficio di fundraising verso l’orlo del precipizio

fundraising piccolo ufficio burrone riccardo friede

Chi come te si occupa di fundraising dentro a un piccolo ufficio, ricade dentro una di queste due categorie:

  • ci sono i fundraiser che lavorano col “pilota automatico” sempre acceso, perché tanto va già bene così com’è, non c’è da perdere tempo a discutere, abbiamo sempre fatto in questo modo, così fan tutti… (NB: questo non è il tipo di fundraiser che leggerebbe questo articolo!)
  • ci sono i fundraiser che fanno lo sforzo di prendersi del tempo per approfondire, studiare e applicare. Questa volontà nasce dalla consapevolezza che nel fundraising c’è sempre del potenziale da scoprire e che, lavorando di ingegno e di manualità assieme, raggiungere nuovi risultati positivi è molto più che probabile (NB: questo è il tipo di fundraiser che sceglie di concentrarsi su articoli lunghi come questo)!

Chi fa parte del primo gruppo, tipicamente sceglie male. Chi fa parte del secondo gruppo, al contrario sa scegliere bene.

Risultato?

I primi sprecano le opportunità di fundraising, i secondi le sviluppano e ottengono risultati sempre migliori!

Ora, se sei arrivato fin qui, sono certo che sei uno del tipo “sviluppa il fundraising” e quindi saprai dare il massimo valore ai contenuti di questo articolo.

Di seguito troverai pane per i tuoi denti! Quindi… buona lettura!


Come consigliere di amministrazione molto presente e attivo nel fundraising della tua organizzazione, come direttore o direttrice del tuo ente, o come professionista interno a un piccolo ufficio di fundraising – soprattutto se hai un ruolo di coordinamento – sicuramente nel tuo percorso ti sei trovato più volte a porti domande “epocali“. Mi riferisco a riflessioni di questo genere:

Stiamo facendo tutto quel che è possibile fare, e che ha senso fare, per la nostra raccolta fondi?

Il consiglio avrà fatto bene a deliberare in quella direzione anziché nell’altra?

Come possiamo essere certi di aver fatto una buona scelta, escludendo invece le altre?

Da un certo punto di vista, queste domande non hanno una risposta definitiva. Dall’altra però, bisogna ricordare che il fundraising è una delle pochissime aree in tutto e per tutto imprenditoriali nelle aziende non profit.

La natura profonda del fundraising infatti sta nell’equazione:

“sviluppare e crescere = rischiare”

e cioè

“fare fundraising = rischiare”!

Il fundraising chiama a sè continuamente risorse da mettere a rischio: denaro, tempo, energia, relazioni, reputazione. Se tutto va bene, si genera sviluppo, se qualcosa o tutto va storto, chiaramente si generano situazioni poco piacevoli.

Altre aree importanti per le organizzazioni non profit, come ad esempio l’amministrazione, invece sono ambiti di pura gestione, suscettibili di rischi derivanti da errori tecnici, ma che di per sè non conoscono il tema del “rischio di impresa”.

Rischiare nel fundraising però non sempre è divertente e uno spasso, perché il denaro e la fiducia che metti nel rischio di impresa non sono tuoi… sono dei donatori!

A maggior ragione, per chi come te fa fundraising di mestiere è essenziale capire come ridurre al minimo questo rischio di impresa / rischio da fundraising, senza farti bloccare dalla paura di sbagliare, e anzi acquisendo un po’ alla volta quel coraggio intelligente e quella sicurezza motivata che sono i tuoi migliori alleati nel momento di prendere nuove decisioni.

Perciò, con questo articolo ti propongo di focalizzare la tua attenzione su un tema trascurato da tutti i corsi di fundraising, dal 99% dei libri italiani in materia e accennato appena appena durante qualche webinar sporadico…

Il tema del giorno è: come sviluppare i muscoli che ti fanno fare buone scelte per il fundraising della tua organizzazione?

Già, tutto questo argomento viene considerato come marginale… e questo va molto male!

Se ti guardi bene attorno, di cosa si parla e parla (e a volte, si straparla) negli spazi dedicati al fundraising? Di tecniche di raccolta fondi e di campagne di fundraising. Certo, bene, bene, ci mancherebbe… ma possiamo decisamente fare di meglio!

Il “decidere bene” è la benzina dell’organizzarsi meglio, e organizzarsi meglio è la formula magica per ottenere più risultati nel fundraising.

E’ così: prima che da una nuova tecnica, i maggiori risultati e la maggiore stabilità finanziaria che puoi ottenere sono il prodotto di una più puntuale organizzazione del lavoro del vostro piccolo ufficio di fundraising.

Se queste affermazioni ti provocano almeno un piccolo mal di pancia, beh… sono contento! Molto contento!

Ma se il “trucco” è “solamente” organizzare meglio il lavoro del proprio piccolo ufficio, da dove si comincia comincia a cambiare in meglio?

Dai fondamentali, e per noi il fondamentale dei fondamentali non è “crederci appassionatamente” (che, per carità, fa la sua parte…): per chi vuole riorganizzare il lavoro del proprio piccolo ufficio, il fondamentale numero uno in assoluto è imparare come si prende una buona decisione nel fundraising. Come distinguere a colpo d’occhio una decisione profittevole e favorevole da una decisione che ci porterà guai e dispiaceri.

Il “decidere bene nel fundraising” è una competenza vera e propria, ma non è il frutto di un intuito straordinario o di una saggezza unica e inimitabile, come purtroppo spesso si sente dire (quasi che prendere una buona decisione fosse una cosa per pochi anziché una possibilità per chiunque si applichi!). Saper decidere bene è alla base di un vero e proprio metodo di lavoro per il fundraising che porta risultati, stabilità e serenità.

E’ uno dei temi su cui mi concentro di più e che amo trattare di più anche nell’ambito della Membership Gratuita qui sotto…


Da dove viene questo interesse per il “decidere bene” e perché riguarda anche te, oltre che il tuo piccolo ufficio?

La constatazione forse più amara con la quale sono dovuto venire a patti una volta entrato nell’età adulta, è che tutti noi esseri umani viviamo per una gran parte del nostro tempo con il pilota automatico innescato.

L’ho capito solo un po’ alla volta. All’inizio facendo il volontario nell’ambito della marginalità sociale (senza dimora, “matti del villaggio”…). Poi, con più strumenti di lettura della realtà, mettendomi al servizio come professionista delle organizzazioni impegnate negli stessi ambiti.

Facendo il volontario nell’ambito della marginalità sociale, spesso mi trovavo a chiedermi:

Ma come è possibile che una persona si riduca così?

Già non è un pensiero gentile, ma quando sbatti la faccia sulla dura porta della realtà, qualche domanda te la fai.

La marginalità può derivare da forze e cause totalmente ingovernabili: una malattia psichiatrica impossibile da arginare; un ambiente familiare e sociale altamente tossici, che hanno minato dal primo giorno di vita la salute emotiva e psicologica di una persona… in casi del genere ovviamente la colpa non esiste. Di certo non ce n’è nelle persone che hanno subito tanto: siamo di fronte a vittime che meritano compassione, supporto e amicizia.

A volte però la marginalità deriva da percorsi di vita in cui il tema della responsabilità personale e delle scelte fatte è decisamente centrale. Si può finire a vivere per strada a causa di una catena di decisioni sbagliate (anche se è un caso abbastanza raro). Tipicamente, si finisce in carcere perché consapevolmente si è deciso di provocare il male altrui, in modi più o meno diretti. Si può finire esclusi dalla società per via del proprio cattivissimo carattere e per atti di violenza e aggressività.

Sia chiaro: anche le persone che scelgono male sono sostanzialmente vittime della propria incapacità di decidere in modo corretto. Non è che “Gli sta bene” o che “Se la sono cercata”, anche se a volte ci verrebbe solo da condannarle e augurare loro le peggiori cose (a me capita!). Queste persone al giorno zero della loro vita erano fogli bianchi: avrebbero potuto decidere bene per se stessi e per gli altri, costruirsi una vita felice e armoniosa. Invece, sfortuna loro, molto presto nella loro esistenza hanno appreso copioni di comportamento altamente disfunzionali e hanno iniziato a metterli in scena, con tutti i danni conseguenti del caso per se stessi e per gli altri.

Praticamente, da possibili “registi della propria vita” con un copione tutto da inventare, un giorno dopo l’altro si sono trasformati in tristi burattini costretti ad eseguire una recita trita e ritrita, nel loro caso con esiti distruttivi e autodistruttivi.

Ma come è possibile che un potenziale Premio Nobel per la Pace diventi invece Jack lo Squartatore?

Perché come dicevamo, chi più e chi meno, viaggiamo tutti col pilota automatico.

Agiamo cioè non secondo discernimento, ma seguendo degli automatismi.

Cosa sono gli automatismi (o “pilota automatico”)?

Ti faccio fare un giro largo per poi tornare al fundraising. Abbi pazienza e curiosità, è tempo ben speso. Continuiamo ancora un po’ sulla dimensione personale per arrivare a quella del tuo piccolo ufficio di fundraising.

Partiamo da quella personale perché dobbiamo comprendere quali sono le radici profonde del “decidere bene / decidere male”.

Gli automatismi sono reazioni automatiche, che bypassano i centri del nostro cervello in cui vengono formulate le decisioni in modo volontario. Se ci osserviamo da questo angolo, un essere umano è del tutto simile a un gatto o a un girasole:

  • il gatto è felice >> il gatto fa le fusa (e tiene la coda alta)
  • il sole si muove >> il girasole si torce per seguirlo
  • una persona si arrabbia >> fisiologia e postura si modificano in modalità di attacco

In tutto un set di situazioni gli automatismi sono una cosa naturale e buona: se metto una mano sul fuoco, grazie al cielo che c’è un primitivo e sofisticato sistema di automatismi che mi “costringe” a togliere la mano dal fuoco!

La grande differenza che passa tra noi, un cane e un girasole è che – per quanto anch’essi siano miracoli del Creato e siano dotati di un’intelligenza biologica raffinatissimanoi esseri umani siamo dotati di funzioni intellettive superiori e fondiamo la qualità della nostra vita sulla qualità delle decisioni che prendiamo.

Il nostro “problema” di esseri umani sta tutto qui:

  • decisioni buone >> vita di alta qualità
  • decisioni cattive >> vita di scarsa qualità

E già qui scatta già uno dei nostri automatismi, che si chiama “automatismo del relativizzare”.

In altre parole, tu in questo momento starai pensando qualcosa del tipo:

Ma chi definisce cos’è una vita di alta qualità o di scarsa qualità? Ognuno ha i suoi parametri!

No, di fatto non è vero che “ognuno ha i suoi parametri (poi ci torniamo sopra…). Ora però ci interessa un fatto: ti è appena scattato un preciso automatismo.

Perchè è scattato? Perché uno degli istinti di base dell’essere umano è quello di ambire alla libertà. In questo ambito, relativizzare equivale a non voler sottostare a definizioni che minano le convinzioni che ci siamo costruiti sul nostro conto. Convinzioni che ci danno senso di identità e quindi sicurezza.

Ma come apprendiamo ad agire col pilota automatico?

Il pilota automatico (e quindi l’attivarsi di un qualsiasi automatismo) ha poche origini e ben precise:

  • Caso A) E’ una “funzione di fabbrica” del nostro cervello, figlia dell’evoluzione della specie. E’ scritta nel DNA. E’ comune a tutti gli esseri umani (salvo tare genetiche), e serve a proteggerci o a proteggere gli altri. E’ l’esempio di prima della mano sul fuoco. O dell’accudire un neonato o un cucciolo (magari non sai come si fa, ma per istinto ti viene di farlo).
  • Caso B) E’ frutto di un’abitudine ripetuta consciamente nel tempo, ma con un grado di consapevolezza sempre minore man mano che questa sedimenta. Ad esempio, la formula di rito in cui salutiamo in una e-mail (io uso quasi sempre “B giornata” con la B al posto di “Buono”. Perché? Perché ho visto farlo un professore universitario che stimavo molto, ho preso a imitarlo e ora lo faccio in automatico, così tanto che per ricordarmi l’origine di questa mia piccola abitudine mi sono dovuto concentrare!). Oppure, è il caso molto più complesso degli atteggiamenti (che nel loro insieme definiscono il carattere): andando agli estremi, propositivo e solare se il comportamento è diventato una “regola” anno dopo anno; triste e scansante se questo modo di essere e di fare ha preso il sopravvento per ripetizione). NOTA BENE: il rinforzo dato dalle emozioni positive e dalle sensazioni piacevoli durante lo svolgimento di quella certa azione è determinante nel continuare ad ripeterla (allo stesso modo, emozioni negative e sensazioni spiacevoli fanno da deterrente).
  • Caso C) E’ la conseguenza di un danno neurologico acquisito o di un disturbo neurologico congenito. Non stiamo parlando per forza di cose gravi: si può trattare di un piccolo tic nervoso, ad esempio.
  • Caso D) E’ una “cattiva abitudine” che si crea a causa del tentativo disperato di spegnere uno stato emotivo negativo adottando soluzioni inadattie se non controproducenti per un numero infinito di volte, fino a provocare un vero e proprio cortocircuito emozionale e neurologico. E’ il caso di quadri clinici di cui non mi permetto di discutere, che si chiamano “ossessioni”. Ad esempio: controllo mille volte se il gas è spento, anche se razionalmente basterebbe buttare l’occhio una volta sola. All’inizio il comportamento si ripete in modo tutto sommato equilibrato, è ancora ragionevole e viene attuato per alleviare uno stato d’ansia. Una ripetizione dopo l’altra però l’effetto tranquillizzante diviene meno efficace: l’ansia resta lì anche dopo aver controllato un numero infinito di volte, ma ormai il pilota automatico mi impedisce di fare altrimenti e ne divento schiavo.

Tolti il caso C e il caso D, è chiarissimo dunque che le abitudini di per sè sono neutre. Il definirle “positive” o “negative” dipende dagli impatti che esse hanno sulle nostre vite (ripeto: questo è vero solo fino a un certo punto… tra poche righe ci arriviamo!).

Anche il caso A per noi non è così interessante: infatti, le decisioni del gruppo A rientrano tra le reazioni istintive, che hanno molto a che vedere con la comunicazione esterna per il fundraising (l’ambito dell’ “emotion-raising”).

Il gruppo di automatismi che ci interessa di più è quello del gruppo B. E perché proprio quelle del gruppo B? Perché sono abitudini che discendono dal ripetere una, dieci, cento, mille volte decisioni consapevoli, che via via però diventano inconsapevoli e “agiscono al posto nostro”.

Ti sarà sicuramente evidente che tra queste decisioni rientra anche il modo in cui organizziamo le nostre giornate e il nostro lavoro… insomma, il modo in cui tu organizzi il lavoro del tuo piccolo ufficio di fundraising!

E, a tal proposito…


Decisioni buone, decisioni cattive

Se ci sforziamo di uscire dal tran tan degli automatismi e ci rendiamo consapevoli del fatto che quando agiamo col pilota automatico siamo più schiavi che persone libere, possiamo riconoscere facilmente che per distinguere tra una decisione buona e una cattiva possiamo basarci su dei parametri oggettivi.

I parametri oggettivi che ci dicono se una decisione è buona o cattiva sono facili da individuare, ma solo se – di nuovo! – usciamo dall’automatismo del relativizzare (che, come dicevamo, è di fatto un meccanismo di difesa personale).

  • Questa decisione rende la mia esistenza più felice e al contempo rispetta chiunque abbia attorno e contribuisce alla sua felicità? >> E’ una buona decisione!
  • Questa decisione mi porta dei vantaggi, ma a discapito di altri e non apporta nulla alla loro felicità? >> E’ una decisione parzialmente egoica e nociva!
  • Questa decisione mi porta a una vittoria personale, ma nuocendo volontariamente agli altri e producendo la loro infelicità? >> E’ una decisione nettamente egoica e decisamente malvagia!

Qui il discorso non è fare dei “buonisimi” o dei “cattivismi” e neanche degli assoluti, quanto:

  • essere d’accordo che non è possibile che ogni scelta sia buona “perché io la vedo / la penso / la vivo così”. Se questo fosse accettato, allora dovremmo farci andare bene qualsiasi decisione egoica, nociva o malvagia per il solo quieto vivere! Questo vale anche per le decisioni prese nel tuo piccolo ufficio di fundraising, che non possono essere prese sull’onda dell’emozione o dei punti di vista (pensa a quante volte succede nelle riunioni del consiglio direttivo, ma anche durante quelle di staff).
  • che una persona davvero matura non solo ha una alta consapevolezza degli elementi che fanno una buona o una cattiva decisione, ma riesce anche ad ammettere che il fatto che tutti viviamo con una certa dose di “pilota automatico” non è una scusa valida per continuare a restare in questa condizione per sempre. Questo è verissimo anche con riguardo a come viene pianificato il lavoro del piccolo ufficio di fundraising in cui ti dai da fare!

Ma cos’ha a che fare tutto questo con il fundraising e con il lavoro del tuo piccolo ufficio?

Il modo in cui vivi e lavori dentro l’organizzazione non profit in cui ti occupi di fundraising è lo specchio dei meccanismi umani e naturali di cui abbiamo discusso poco sopra.

Come individui, come coppie, come famiglie, come gruppi, come aziende, come stati… in tutte queste formazioni sociali e quindi in una serie infinita di situazioni collettive siamo preda del pilota automatico!

Questo fatto ti va bene?

In particolare, va bene che dentro ai nostri piccoli uffici di fundraising pianifichiamo le giornate, i mesi, gli anni col pilota automatico?

Se vogliamo provare a rispondere, le alternative tra cui scegliere sono ben poche:

  • Si, organizzare il lavoro di un piccolo ufficio di fundraising col pilota automatico va bene se sistematicamente questo modus operandi rende felice chi ci lavora, i sostenitori, il consiglio direttivo, i soci e produce risultati economici e non economici soddisfacenti, verso la piena sostenibilità finanziaria e umana del sistema.
  • No, organizzare il lavoro di un piccolo ufficio di fundraising col pilota automatico non va bene se produce stress, insoddisfazione e il sangue tiepido tra le varie anime dell’organizzazione non profit, risultati altalenanti o comunque in qualche misura insoddisfacenti o inadeguati, portando il sistema in stato di crisi profonda sia finanziaria che umana.

In che situazione vogliamo trovarci tutti?

E’ semplice, nella prima! Solo un pazzo vorrebbe dell’altro!

Ma quanto la realtà del tuo piccolo ufficio si avvicina alla prima situazione idilliaca, oppure quanto al secondo triste quadro?

Sicuramente ci sono delle sfumature nel mezzo, ma capisci bene che sto estremizzando volutamente il quadro perché:

  • un automatismo negativo dopo l’altro E QUINDI UNA DECISIONE NEGATIVA DOPO L’ALTRA, il tuo piccolo ufficio di fundraising rischia di ritrovarsi sul ciglio del burrone, senza neanche rendersi conto di come e quando
  • un automatismo positivo dopo l’altro E QUINDI UNA DECISIONE POSITIVA DOPO L’ALTRA , il tuo piccolo ufficio di fundraising può ambire a diventare un piccolo luogo dei sogni, così divertente, armonico e appagante da rappresentare una meta invidiabile!

Cosa c’è di grande ed entusiasmante in questi dati di fatto? Che, indipendentemente da quanto fosche possano essere le tinte in cui è immerso il tuo piccolo ufficio di fundraising ora come ora, agendo in modo consapevole, con volontà e con un piano organizzato di azione, è possibile uscire dalla palude in cui forse vi trovate per dirigervi verso lidi sereni!

E ora, per concludere, dobbiamo assolutamente concentrarci su una grande domanda…

Quali sono gli elementi che ti permettono di capire immediatamente se una decisione per il tuo piccolo ufficio di fundraising è buona o cattiva?

Così come abbiamo visto che ci sono parametri oggettivi che definiscono se una decisione è buona a livello personale, ci sono anche dei parametri che definiscono senza ombra di dubbio e senza lasciare spazi di interpretazione se una decisione è buona oppure cattiva per le sorti del tuo piccolo ufficio di fundraising.

Perché è importante conoscere questi parametri? Per due motivi precisi:

  • per la decisione di per sè, cioè per gli effetti di questa decisione nell’immediato e nel breve termine;
  • per l’abitudine che si corre l’opportunità oppure il rischio di sedimentare se la stessa decisione oppure lo stesso schema decisionale viene ripetuto col pilota automatico.

Tra le ottime abitudini che ogni fundraiser dovrebbe sviluppare c’è l’aggiornamento continuo. Quindi:


Quello che ti propongo ora è un semplice set di 3 elementi / domande che, quando arriva il momento di decidere, puoi usare come ancora per sottrarti alle costrizioni del pilota automatico e riconquistare il tuo spazio di libertà e di autodeterminazione, per il bene tuo e del tuo piccolo ufficio di fundraising!

Le 3 domande-mantra da farti per mandare fuori pista il pilota automatico e trovare soluzioni profittevoli e sostenibili per il tuo piccolo ufficio di fundraising

Sono solo 3 domande. Puoi segnartele in agenda, stamparle e appiccicarle con lo scotch al pc. Puoi impararle a memoria.

Servono a mandare “fuori pista” il pilota automatico: il volante passerà saldo tra le tue mani!

A 3 risposte positive (SI, SI, SI) corrisponde una decisione oggettivamente buona per il fundraising. Non può aiutarti a prevedere QUANTI risultati porterà, ma DI SICURO porterà dei risultati positivi a seconda degli obiettivi che vi siete posti (che siano economici, non economici, o di entrambi i tipi).

Meno sono le risposte positive, più ti stai trovando a ragionare attorno a decisioni potenzialmente (se non sicuramente) negative, con effetti o nulli o nefasti!

Per rispondere non ti serve studio, ti servono solo il giusto spazio e tempo per concentrarci e per confrontarti con i tuoi colleghi e coi consiglieri influenti e rilevanti del vostro consiglio direttivo.

Le 3 domande sono queste:

1) Questa decisione rispetta e promuove il nostro credo comune? Ha le sue radici, i suoi fondamenti, la propria volontà di agire nei valori e nei principi più autentici della nostra organizzazione? Li traduce in fatti, in proposte, in comunicazione, in coinvolgimento radicato in un credo?

2) In futuro potremo saremo fieri degli effetti di questa decisione? Immaginiamoci tra 2, 5 e 10 anni: voltandoci indietro a guardare, riusciremmo a riconoscerla come qualcosa di importante, di luminoso, di memorabile nel nostro percorso comune nel fundraising?

Un’accezione particolarmente importante di questo secondo punto è:

Questa decisione permette di guardare al futuro andando oltre a noi che stiamo decidendo? Aprirà l’organizzazione a una comunità più ampia? Permetterà di ragionare su nuove energie, nuove idee, nuovi caratteri, nuovi modi di ragionare, nella misura in cui sono aderenti al primo principio (vd. sopra)?

3) Questa decisione ha un seme di piano di azione per il presente? Se ancora non l’ho messo nero su bianco e comunque va perfezionato, riesco almeno ad immaginare di preciso cosa deve accadere passo dopo passo, perché tutto vada nel migliore dei modi? Quanti dei pezzi che mi servono per assembleare il piano ho in mano? Sono in numero e di qualità sufficiente per rendere credibile il “via” al progetto?

Sono domande molto potenti e molto profonde. Vanno ben oltre il “Quanto in più ci porterà?” e anche il “A che cosa ci serve?”. A farle ci vuole un attimo, le risposte invece richiedono tempo per emergere.

Ti invito a farne un utilizzo pratico: le decisioni a cui puoi applicare queste domande sono quotidiane! Utilizzale anche come strumento di lavoro assieme ai tuoi colleghi e quando vi ritrovate – ed è un bel momento, per quanto non sempre serenissimo, soprattutto dal punto di vista dei lavoratori! – con il consiglio direttivo.

Sintesi: l’anatomia di una buona decisione per il tuo piccolo ufficio di fundraising

In chiusura di questo articolo, riassumiamo:

Com’è fatta una buona decisione per il tuo piccolo ufficio di fundraising, e quindi per il vostro fundraising, e quindi per la vostra organizzazione non profit?

La riconosci perché ha sempre:

  • le radici nei valori
  • un piano di azione per il presente
  • lo sguardo rivolto verso il futuro e a chi dopo di noi guiderà l’organizzazione e la causa

Se manca un pezzo, è una decisione… ma non è una buona decisione per il vostro fundraising!

Se vuoi capire come il tuo piccolo ufficio può migliorare nel fundraising ridiscutendo qual è il vostro modo di decidere e di organizzarvi, CLICCA SU QUESTO LINK e invia la tua richiesta per una sessione “Focus”.

A capo e…

Avanti Tutta!

– Riccardo –

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *