Definiamo cos’è “Il Grande Problema” che colpisce la quasi totalità delle organizzazioni che fanno fundraising

Qual è il Grande Problema che prende in contropiede la quasi totalità delle organizzazioni non profit che si dedicano al fundraising?

Che nome ha quel tallone d’Achille che riesce a minare la stabilità dei piccoli uffici di fundraising, anche di quelli più eroici e intraprendenti?

Nel rispondere a questa domanda possiamo e dobbiamo essere schietti, precisi e concreti!

il problema più comune ai piccoli uffici di fundraising di ogni settore, livello di esperienza e “anzianità di servizio” è la mancanza di un piano di lavoro.

Un altro modo di dirlo è:

la stragrande maggioranza dei piccoli uffici di fundraising lavora col pilota automatico 365 giorni all’anno, senza che ci sia un ragionamento sistematico su opportunità, priorità, e crescita nell’organizzazione del lavoro.


E quando il Grande Problema può diventare un “Problema di Proporzioni Bibliche”?

Il Grande Problema della disorganizzazione rivela tutte le fragilità del sistema quando le organizzazioni entrano nella “Fase del Passaggio del Testimone”.

La fase del “Passaggio del Testimone” si apre quando la “prima generazione” o la “vecchia guardia” di chi ha avviato la raccolta fondi della vostra organizzazione è costretto o desidera – magari gradualmente – ritirarsi dalle scene (tipicamente per via dell’età, della vita familiare, di pensieri gravi dovuti alla condizione di salute propria o dei propri cari).

Così, rapidamente, il Grande Problema della disorganizzazione cresce senza controllo fino a diventare un “Problema di Proporzioni Bibliche”. E l’organizzazione, sottoposta alla pressione incontenibile che il Problema esercita sulla sua fragile struttura, scoppia.


Perché la “Fase del Passaggio del Testimone” è così delicata e dirompente?

Quando i fondatori, i protagonisti della prima ora cominciano a essere meno presenti, a farsi indietro, insomma a non immettere più il proprio pensiero, la propria spontaneità, la propria energia, i propri rapporti e le proprie doti organizzative nel fundraising, in tempi record emerge che i risultati dell’organizzazione ancora oggi provengono in quantità esagerata dalla reputazione di pochissime persone, anziché da un piano di lavoro e dal seguire un metodo per il fundraising.

La fase del Passaggio del Testimone interessa la stragrande maggioranza delle organizzazioni non profit italiane: l’età anagrafica dei fondatori che fanno parte della “prima generazione” è ormai ben che avanzata. Storie di solidarietà e di raccolta fondi avviate negli anni ’70, ’80 e ’90 per proseguire devono accettare questa condizione: si va avanti solo compiendo il pieno ricambio generazionale e passando le consegne alla “nuova generazione” con fiducia e delega piena.

Il che non è semplice, non è veloce e neanche “leggero”: è forse la sfida più grande che ogni organizzazione si trova ad affrontare. Ma, volenti o nolenti, il bene comune richiede a tutti noi di affrontarla con coscienza e lungimiranza.

Ma anche il vivere bene la fase del Passaggio del Testimone riguarda più in generale una migliore e puntuale organizzazione del fundraising nel suo insieme. Proprio per questo motivo, i percorsi di consulenza che avvio abbracciano interamente questo tema così delicato e tutti i relativi passaggi risolutivi.


Le conseguenze nefaste di rimanere impantanati nel Grande Problema

Com’è lavorare disorganizzati? Una pena. Sai già com’è, perché lavorare disorganizzati produce tutta una serie di sintomi che “si sentono” in modo molto vivido…

Raccogli meno di quanto potresti (e non sai però nemmeno dire quanto potresti raccogliere se solo foste ben organizzati…) e questo fatto a fasi alterne ti cala nell’imbarazzo, nell’incertezza sul futuro tuo e dell’organizzazione, nell’insoddisfazione per i risultati raggiunti
Sei vittima di continue emergenze, ritardi e vivi sulla pelle tutte le relative ansie
Ti sembra di girare in tondo su una giostra. All’inizio era divertente, adesso invece… a volte faresti davvero dell’altro. Capita anche che tu ti senta un po’ in un vicolo cieco, a volte un po’ sprecato.
Davvero non sai davvero cosa rispondere alla domanda: “Come possiamo migliorare?”. Nè quando te la fanno gli altri, nè quando te la fai da te.
Ci sono giorni che ti mangi le mani perché col lavoro volevi essere già a un certo punto e invece non hai fatto nulla di quello che era in lista, o peggio… non ti è chiaro perché state facendo quel che stai facendo e cosa si può migliorare o anche solo cambiare nel vostro modo di lavorare a un determinato progetto, campagna, azione!

Che tu abbia la responsabilità del fundraising come lavoratore retribuito o come volontario, non cambia nulla. Non cambia nulla perché le conseguenze della mala organizzazione del vostro piccolo ufficio di fundraising è sempre la stessa:

instabilità, e quindi stress, abbandoni e rotture, e quindi minori probabilità che la vostra organizzazione riesca a proseguire la sua missione sociale negli anni a venire.


Il vero dramma non lo vive la vostra organizzazione… lo soffre la società!

Queste estreme purtroppo ma naturali conseguenze della cattiva organizzazione dei piccoli uffici di fundraising però devono essere assolutamente evitate.

Senza la vostra organizzazione non profit attiva sul campo, i diritti di tutti saranno meno tutelati; la comunità sarà più debole di fronte agli attacchi di ciò che va male nel mondo; l’enorme portato di umanità, esempio civile, solidarietà che avete accresciuto negli anni andrà disperso nel nulla.

Può sembrare un discorso estremo, ma questa è la triste ma naturale conseguenza di avere un ufficio di fundraising disorganizzato. Ovviamente tutto questo è tanto più vero quanto più la vostra organizzazione è dipendente dalle entrate di fundraising.

“Si, va bene tutto… ma noi mica siamo disorganizzati! Noi lo sappiamo cosa facciamo! Io so cosa devo fare oggi! Non lavoriamo mica a caso!”.

Forse tra te e te stai facendo una considerazione di questo tipo…

Ti sfido però a dimostrarmi con sicurezza che nella tua testa e nella testa di tutti tuoi colleghi retribuiti e volontari, che nella testa del consiglio direttivo, che nei vostri documenti, che nelle vostre buone pratiche c’è la traccia continua di un piano logico, sequenziale e dettagliato di azione a segnare la quotidianità!

Ma se tutto il discorso sul “lavorare organizzati” si esaurisse nell’avere un cronoprogramma attaccato al muro, sarebbe tutto semplicissimo. A produrre un programma di lavoro ordinato con le linee del tempo, non ci vuole niente!


I principi portanti di un piano di lavoro funzionale alla realtà di un piccolo ufficio di fundraising

Infatti, sfida che ti lancio è più alta! Ti sfido a dimostrarmi che il piano di lavoro del vostro piccolo ufficio di fundraising risponde a questi precisi criteri:

è un piano di lavoro progettato con l’obiettivo primario di rendere stabili le entrate (questo presuppone che tu sappia con certezza quali sono le fonti che anno dopo anno danno stabilità alle vostre entrate da fundraising). Il vero fine dei piccoli uffici di fundraising è prima di tutto la stabilità, per fare in modo che – nonostante tutto – la buona causa prosegua sempre il suo percorso. Diversamente, la crescita del fundraising – dopo un certo punto – dipende totalmente dall’investimento in personale e strumenti

è un piano di lavoro progettato in logica di sviluppo seguendo il principio delle nuove e migliori opportunità di raccolta fondi (puoi chiamarla anche “innovazione nelle strategie di fundraising”), rispetto allo status-quo della tua organizzazione e rispetto a come si muove e cambia il mondo della filantropia e del dono. Evitando le mode passeggere e radicandosi negli approcci che offrono le maggiori opportunità, per quanto “poco originali”
è un piano di lavoro progettato secondo il criterio di priorità e importanza, per cui è la norma che stiate lavorando con piena coscienza e preparazione di ogni parte dopo aver scelto – dati alla mano – cosa replicare, cosa sviluppare, cosa impiantare a nuovo e cosa ridurre o abbandonare
è un piano di lavoro che segue il principio della padronanza tecnica: le azioni, che siano abitudinarie o nuove, vanno eseguite da manuale, perché nuovi e maggiori risultati di fundraising provengono da una completa esecuzione di certe sequenze di azioni, dal rispetto di certe procedure, dalla capacità di stimare i ritorni di certi approcci. Se la padronanza tecnica non c’è, si può cercare all’esterno o svilupparla all’interno. Uno degli elementi fondamentali della padronanza tecnica è la capacità di “lavorare per campagne”
è un piano di lavoro in cui ogni dettaglio della comunicazione segue le regole dettate dalla “mente del donatore”, dato che il donatore pensa e parla con “la lingua del donatore” e non “la lingua dei fundraiser” (che invece è quella che usiamo tra di noi del mestiere e che erroneamente molti replicano nei rapporti coi sostenitori)
è un piano di lavoro animato dal principio: “Questa organizzazione non è mia, non è tua, è lo strumento che i sostenitori hanno scelto per cambiare in meglio il mondo. E’ una casa aperta, una casa comune, non è casa nostra”. Pertanto, le decisioni – grandi o piccole che siano – tengono conto del fine di servizio al bene comune e scacciano personalismi, giudizi, gusti personali e altre forme di miopia
è un piano di lavoro progettato tenendo conto di questo principio: la dimensione della raccolta fondi non deve mai mettere in ombra la dimensione dello spirito di comunità. Questo vale anche per i rapporti interpersonali dell’ufficio, ma anche e soprattutto per la natura delle relazioni che legano la vostra organizzazioni con i sostenitori, e i sostenitori tra di loro. Perciò, il vostro piano di lavoro prevede una serie di campagne e attività finalizzate a rinvigorire lo spirito di comunità
è un piano di lavoro progettato secondo il criterio “emergenze tendenti a zero”: sapete come disinnescare le bombe a mano, che vi arrivano addosso, addirittura sapete come evitare che parta l’innesco, sapete rimandare ciò che sembra improrogabile quando invece di fatto lo è
è un piano di lavoro progettato secondo i criteri della condivisione, del confronto e dell’aggiornamento: la conduzione del vostro piano di lavoro vive di tanti brevi meeting in cui tutti assieme si fa il punto della situazione, secondo regole precise di condotta di questi appuntamenti, e ogni volta se ne esce con più chiarezza e grinta
è un piano di lavoro progettato secondo un criterio di fattibilità e sostenibilità: siete un piccolo ufficio di fundraising, cioè siete pochi a fare tutto. Però il fundraising deve andare avanti. La differenza tra precipitare nel caos e il riuscire a reggere, pure in pochi, un carico consistente e produttivo, la fa solo una suddivisione intelligente del lavoro. Uno degli strumenti portanti di questo criterio è la delega.
è un piano di lavoro progettato secondo la logica “sviluppo dell’ufficio = sviluppo del fundraising”: in altre parole, desiderando che l’organizzazione faccia degli scatti di crescita nella raccolta fondi, avete pianificato l’ingresso di nuove figure, o l’estensione del tempo lavorativo di chi è già presente, o la specializzazione del personale
è un piano di lavoro progettato secondo il principio “investimento = maggiore ritorno, solo spostato più avanti nel tempo”: con tutto il buon giudizio del caso, la paura di spendere non c’è più. Il tema non è mai SE spendere, ma COME spendere bene.

Sai com’è lavorare con un piano di lavoro che incorpora, vive e trasmette a tutta l’organizzazione questi principi?


I benefici e la liberazione di ri-organizzare e pianificare il fundraising

Con un piano di lavoro di questa natura si lavora BENE. MOLTO bene. Che vuol dire: sereni, grintosi, padroni della situazione. Diciamolo pure: felici!

E anche quando si presentano i problemi (magari seri e ineluttabili, le classiche “tegole che ti cadono sul collo dal cielo”), il clima di collaborazione e il senso di sicurezza sono talmente buoni che le soluzioni vengono fuori da sole (e cioè: da voi stessi ma senza diventare matti).

In pratica, l’unico modo di risolvere il grande problema e le conseguenze nefaste causate dalla cattiva organizzazione del vostro piccolo ufficio di fundraising… NON E’ genericamente “scrivere il piano di fundraising”. Difatti, nella lista di poco fa hai già notato una serie di principi che non vengono MAI nemmeno nominati dentro al tipico manuale della raccolta fondi, che sia statunitense, italiano o europeo.

L’unico modo di affrontare e superare il problema della disorganizzazione dell’ufficio di fundraising è intraprendere un percorso di crescita, sviluppo e innovazione del vostro fundraising nel complesso, che ha le sue basi però non nelle novità del momento, ma in una riorganizzazione intelligenze e orientata del vostro piccolo ufficio di fundraising e del vostro piano di lavoro.

Il mio desiderio per te e per la tua organizzazione è che riusciate a raggiungere queste mete alte, che centrano molto con il fare un’ottima raccolta fondi, ma ancor di più con il dare futuro alla vostra organizzazione e alla vostra buona causa.


Cosa potete fare per prendere per le corna il Grande Problema e uscirne vincitori?

Per arrivare a delle soluzioni, ti invito a visitare il sito di Officine Buone Cause, nel quale trovi tutte le mie e nostre proposte di servizi e prodotti a misura di piccola organizzazione:

>> OFFICINE BUONE CAUSE

Avanti Tutta!